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“Sapevo di dover dare il doppio, il triplo in Azerbaigian, perché lottavo a casa loro e avevano comprato tutto. Lo stesso arbitro è stato con gli azeri per tutto il torneo. Io ce l’ho fatta, ma poi è successo qualcosa che ricorda il pugilato di tanti anni fa. Ritengo di aver subito un’ingiustizia enorme, ma non mi fermerò davanti a niente. E allora sì, lo voglio dire, sono venuti da me offrendomi dei soldi, 300.000 dollari per perdere. Non voglio dire chi, ma è successo la mattina del peso. Li ho mandati a f… perché non rappresento solo me stesso, ma anche l’Italia, la mia federazione, la Fijlkam, e l’Esercito. Non è facile rompere la mia integrità“, dichiara l’italo-cubano.
“Sono ancora sconvolto. Triste, addolorato, pieno di vergogna per quello che è successo. I cinque giudici sul tappeto hanno preso la stessa decisione, riconoscendo che avevo messo a terra il ginocchio destro dell’avversario, quindi avevo vinto. Dopo un incontro in cui il mio avversario, che ho sempre battuto, per cinque minuti non ha fatto che scappare. Poi si sono inventati un challenge a tempo scaduto, che non si può fare. A questo punto il presidente di tappeto ha guardato le immagini di una sola telecamera della video review e ha stabilito che quella mossa non c’era, contraddicendo gli altri cinque giudici. Sono così schifato che non mi sembra di parlare di sport“, prosegue il lottatore azzurro.
“I soldi muovono tutto. Mi esprimono solidarietà dagli Stati Uniti, dove combatto spesso, mi dicono che il responsabile dello scandalo sarà fermato: ma io che me ne faccio? Ho voluto denunciare tutto perché provo troppa rabbia, ma anche vergogna per il mio sport. In Turchia so di giocarmi ancora l’opportunità di tornare alle Olimpiadi, ma se dovessi rivivere certe scene e situazioni già viste a Baku giuro che stavolta faccio un macello. Se ho paura di pagare queste dichiarazioni all’ultimo torneo di qualificazione? Io vengo da Cuba, non ho paura di niente. Ora sono in un paese libero, posso dire quel che penso e quel che voglio. Non mi ferma nessuno“, conclude il bronzo olimpico di Rio 2016.
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